Bastasse il mercato

Roberto Beccantini27 agosto 2014

Quando il gioco batte i giocatori, non resta che l’applauso. Il coro dell’Athletic ha suonato gli sfiatati tenori di Benitez, troppo attrattato dal silicone del mercato e poco, troppo poco, sensibile alla manifesta broccaggine del pacchetto difensivo. Non una novità, peraltro: e, dunque, un’aggravante.

Eppure l’equilibrio l’aveva spaccato Hamsik, uno dei peggiori. I nervi hanno spinto Higuain lontano dall’ordalia; Collejon era disperso chissà dove, Mertens è stato tanto martello all’andata, da riserva, quanto incudine al San Mamés, da titolare. Hanno vinto di squadra, i baschi. Fieri e felici di affrontare un’orchestra non più italianista e non ancora europea (o comunque, non europea come la scorsa stagione, fra Arsenal e Borussia Dortmund).

Due gol li ha regalati la difesa, uno il regolamento: se non è fuorigioco punibile la «corsetta» di Arduiz, tanto vale abolirlo (il fuorigioco). Non si tratta di escrementi movioleschi, ma di spunti dettati da una regola che è stata letteralmente «violentata» da cavilli più affilati di pugnali.

Italiani in campo, uno: Maggio. Poi due, nel finale, con Insigne. Il calcio italiano c’entra poco, ammesso che possa essere di consolazione. Con il senno di poi, avrei inserito Inler e non Gargano. Che bambola, Jorginho. E il nodo del portiere, dopo l’addio di Reina, mi sembra tutt’altro che sciolto.

Si sapeva fin dal sorteggio che l’Athletic sarebbe stato un osso duro. C’è modo e modo di uscire. Il Napoli ha scelto il più imbelle. Valverde non avuto bisogno nemmeno del miglior Muniain. Ha fatto possesso palla e aspettato il cadavere sulla sponda del fiume. Gli dei avevano baciato, immeritatamente, la mira di Hamsik. Il pisolo su corner e il tamponamento su quella pallaccia alzata alla Sperindio da De Marcos hanno riportato il Napoli di Benitez ai problemi di sempre. E sono problemi seri, di struttura, non solo di mercato.

Tra Palazzi e Palacios

Roberto Beccantini25 agosto 2014

So resistere a tutto tranne che alle tentazioni. Non è mia, ci mancherebbe, ma proprio per questo non so resisterci.

Italia: in barba all’inchiesta aperta dall’Uefa, il procuratore federale Stefano Palazzi ha disposto l’archiviazione del procedimento aperto nei confronti di Carlo Tavecchio per la frase sui giocatori extracomunitari. Motivo: «non sono emersi fatti di rilievo disciplinare». Ricordo, per comodità dei pazienti, il passaggio che incendiò l’estate del nostro fermento: «L’Inghilterra individua dei soggetti che entrano se hanno professionalità per farli giocare, noi invece diciamo che “Opti Poba” è venuto qua che prima mangiava le banane e adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così».

Spagna: il giudice sportivo Palacios (nome di fantasia) ha squalificato Diego Simeone per otto giornate, diconsi otto, dopo lo show offerto nel corso di Atletico Madrid-Real Madrid (Supercoppa domestica, partita di ritorno). Nel dettaglio: due turni per l’espulsione, quattro per i «coppini» al quarto uomo, una per gli applausi ironici, uno per essersi sistemato in tribuna dietro la panchina.

Per carità: le situazioni sono diverse ed è possibile, se non probabile, che il ricorso dell’Atletico porterà a un taglio della pena. Rimane la distanza, abissale, tra le filosofie che orientano e animano le rispettive giustizie. Tavecchio parlò di Opti Poba da candidato. Palazzi, i cui cambi di velocità da Calciopoli in poi sono diventati leggendari, e sempre funzionali al regime, ha atteso l’esito elettorale prima di buttare i ritagli dei giornali nel cestino. «Se a Tavecchio non faranno niente, come potrà mai essere sanzionato un giocatore che dà del mangia-banane a un avversario di colore?». Lo chiese Daniele De Rossi, giocatore bianco della Roma e della Nazionale.

Giro la domanda a Palazzi.

Balotelli e il postino

Roberto Beccantini21 agosto 2014

Di solito, una società va sul mercato per reclutare un giocatore che le risolva un problema. Con Mario Balotelli è il contrario: si va sul mercato per ingaggiare un problema nella speranza di risolverlo. Inter, Manchester City, Milan e Nazionale non ci sono riusciti. Ci prova il Liverpool.

Arrivò al Milan il 31 gennaio 2013. Lo lascia nell’agosto del 2014. E poi dicono che Galliani sia un grande dirigente: figuriamoci gli altri. Mario ha 24 anni e la sua vita è un romanzo che ha sedotto fior di riviste come «Time» e «Sports illustrated». In Mino Raiola ha trovato un moltiplicatore di quattrini più che una stampella etica. Tutti coloro che gli hanno dato la caccia, sono stati felici di lasciare l’incombenza ad altri.

Balotelli si piace così. La questione non è più tattica, ambientale o razziale; tutto fa brodo per gonfiare il personaggio a scapito del giocatore. Ha il fisico, il tiro, i fondamentali. Resta uno dei rari progetti di fuoriclasse che il nostro calcio può vantare. Mancini, Mourinho, ancora Mancini, Allegri, Seedorf e Prandelli hanno cercato invano di domarlo per liberarne il tritolo e il talento. Tocca a Brendan Rodgers. Anfield è stato il regno e la tana di Luis Suarez: Balotelli è tutt’altra roba, e anche per questo la scommessa coinvolge, eccita, stupisce.

Patti chiari: non siamo noi i suoi nemici. Noi nel senso di tifosi, giornalisti, dirigenti. E non lo sono nemmeno gli avversari. «In un viale senza uscita, diceva papa Wojtyla, l’unica uscita è nel viale stesso». Fuor di metafora: il nemico di Mario è Mario. Al diavolo gli alibi, i pretesti, le balotellate. Torna in quella Premier che aveva definito un paradiso, salvo gettarla via come una cicca. Il postino, nel suo caso, non smette mai di suonare. Gli apra: la pazienza ha un limite.